Il rapporto speciale dell’Intergovernmental Panel on Climate Change (IPCC) dal titolo “Climate change and Land” mostra come, negli ultimi decenni, i cambiamenti climatici abbiano aggravato le pressioni già esistenti sulle risorse terrestri, sui servizi ecosistemici e sulla biodiversità del Pianeta, con enormi ricadute sul settore agro-forestale e quindi sulla catena di produzione alimentare.
La filiera del caffè è fra quelle maggiormente a rischio: sempre secondo l’IPCC, entro il 2050, assisteremo a una sensibile riduzione dei terreni adatti a questa produzione, nonché a una diffusione di parassiti e malattie potenzialmente dannosi per le piantagioni, con un’importante contrazione della resa mondiale. Le proiezioni dei principali Istituti di ricerca parlano, addirittura, di un potenziale dimezzamento delle aree coltivabili ad arabica, nello stesso arco temporale. Tutto questo come effetto del cambiamento climatico, appunto.
È in questo contesto che le aziende leader del commercio di caffè, come l’italiana Gruppo Lavazza, sono chiamate a promuovere strategie, politiche e azioni per il clima sempre più ambiziose, all’interno del più ampio framework tracciato dall’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo sviluppo sostenibile.
“Il caffè è una materia prima sensibilissima: parliamo di una pianta che ha bisogno di condizioni climatiche specifiche e costanti, in termini di umidità, e che non resiste agli eventi estremi, come gelate o siccità. Purtroppo, intere aree destinate alla coltivazione di caffè nel mondo rischiano di scomparire a causa degli squilibri al livello ecosistemico provocati dai cambiamenti climatici, che porteranno, quindi, anche ad un depauperamento delle varietà presenti oggi sui mercati globali. Lavazza compra caffè da circa 30 Paesi e, con approccio pioneristico, già dal 2010 investe in ricerca e sviluppo per tutelare la filiera di produzione intorno a cui ruota il business aziendale. Oggi, la consapevolezza di essere di fronte ad una sfida globale – dai cui esiti potrebbe dipendere anche la sopravvivenza dei nostri chicchi, è molto più diffusa all’interno del settore.” racconta Veronica Rossi, Sustainability Senior Manager del Gruppo Lavazza.
Negli anni, l’impegno per contribuire alla costruzione di una filiera del caffè più sostenibile è progressivamente cresciuto nel Gruppo, anche grazie alle iniziative della Fondazione Lavazza che porta avanti un’azione sul campo, al fianco dei coltivatori locali, per promuovere lo sviluppo delle comunità sia sul piano economico che sociale. Una Fondazione nata 20 anni fa che oggi guarda anche ai grandi temi contemporanei della transizione sostenibile, per esempio attraverso la creazione del Center for Circular Economy in Coffee, nel 2023, piattaforma precompetitiva volta a sostenere e valorizzare i principi dell’economia circolare e a promuovere l’innovazione nella filiera del caffè.
Inoltre, numerose e di valore sono le partnership a cui Lavazza partecipa; fra le più strategiche, vi è sicuramente l’iniziativa Coffee&Climate(C&C), di cui l’azienda è membro fondatore dal 2010 e a cui offre supporto continuativo. Si tratta di un progetto collettivo che coinvolge diversi attori del settore, con l’obiettivo di studiare gli impatti del cambiamento climatico sulla produttività e sulla qualità del caffè, di sviluppare tecniche di coltivazione adattate sul clima e di aiutare i produttori ad applicarle. È, inoltre, attiva anche la collaborazione con il World Coffee Research (WCR), un'organizzazione agricola senza scopo di lucro che studia nuove modalità di ibridazione delle varietà di caffè, per costruire incroci naturali tra le piante e renderle più adatte e resilienti ai climi del futuro.
Tra le attività sul campo, invece, spicca un primato: la partecipazione a un programma internazionale che ha consentito all’Ecuador di realizzare la sua prima produzione di caffè di alta qualità certificata “deforestation-free”, proveniente da piantagioni in 23 province confinanti con la foresta amazzonica. Un importantissimo risultato a cui la Fondazione Lavazza è arrivata grazie a un progetto pluriennale, ancora in corso, realizzato nel Paese sudamericano insieme a diversi partner istituzionali, quali Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo (UNDP), il Governo locale ecuadoriano, in particolare il Ministero dell’Ambiente, dell’Acqua e della Transizione Ecologica e il Ministero dell’Agricoltura e dell’Allevamento.
Si tratta di un’iniziativa avviata nel 2019 che ha anticipato – quindi – di gran lunga la recente normativa europea in materia di degrado forestale, con l’obiettivo di contrastare il dilagante fenomeno della deforestazione del bacino amazzonico. Nell’ambito del partenariato, il Governo dell’Ecuador ha stipulato, insieme a UNDP, il primo protocollo di certificazione nazionale dedicato al monitoraggio delle aree forestali nella produzione di caffè, considerato ad oggi una best practice al livello globale.
La certificazione di “caffè senza deforestazione” garantisce che nessun terreno forestale è stato dissodato o degradato per la coltivazione del caffè, e conferma il rispetto degli standard ambientali durante la fase di produzione. Si ottiene a seguito di un rigoroso monitoraggio, condotto con un sistema di georeferenziazione delle piantagioni. Queste ultime sono state mappate attraverso dispositivi e applicazioni basati su dati geografici, i quali sono stati poi categorizzati all’interno di un sistema che permette di identificare le modalità più adeguate di conservazione dell’area, a seconda delle sue caratteristiche ambientali. A ogni piantagione, è legato un QR code, che ne facilita la tracciabilità, garantendo l'integrità della filiera. Nel giro di sei anni, il progetto ha mappato le piantagioni di ben 23 province confinanti con la foresta amazzonica, a sud-est dell’Ecuador, più precisamente nelle zone di Sucumbíos, Orellana, Napo, Morona Santiago e Zamora Chinchipe.
Al successo del progetto ha contribuito anche la sua impostazione innovativa: per incentivare la partecipazione dei produttori locali e diffondere una cultura comune di rispetto per l’ambiente come bene comune,è stata introdotta la leva della premialità per gli agricoltori e le agricoltrici. Forte della conoscenza del mercato di destinazione e delle competenze in materia di formazione, per esempio, la Fondazione Lavazza ha messo a disposizione delle comunità assistenza tecnica e formazione gratuita. Così, attraverso corsi di assaggio, corsi di valutazione del profilo qualitativo del caffè, corsi per barman – che rientrano nel programma ombrello di Lavazza “A Cup of Learning” – sono stati formati oltre 50 ragazzi e ragazze, tra cui anche giovanissimi e giovanissime appartenenti alle comunità indigene.
“Aver fatto parte di questo progetto, insieme a importanti attori locali, per noi ha rappresentato davvero un prezioso esercizio di partnership pubblico-privata: per la prima volta è stato prodotto un caffè 100% tracciabile dall’inizio alla fine della catena di produzione, dando vita ad una filiera conosciuta, trasparente ed etica.” continua Veronica Rossi.
Un risultato ancor più importante, se considerato alla luce dell’estrema frammentazione e complessità della filiera del caffè: “si dice che dal chicco alla tazzina, passino almeno 20 paia di mani”. Nel mondo, i produttori di caffè sono circa 12,5 milioni – tra Centro America, Africa e Asia – e di questi l’85% sono famiglie che posseggono piccoli appezzamenti di terra, lasciati spesso in eredità dai loro predecessori. Molti impiegano fino a tre mesi per completare un solo ciclo di raccolta, perché non hanno a disposizione alcun tipo di tecnologia e tornano di volta in volta nelle piantagioni, seguendo i tempi di maturazione dei chicchi.